lunedì, dicembre 22, 2008

ritorno con un' altra........

(SENZA TITOLO)
Non temere
piccola mia,
sgocciola ancora
sangue dai miei
poveri polsi,
e presto ne
riceverai dell’ altro!
Solo il tempo
di riempire
calici migliori!
E voi altri non
abbiate timore
per i vostri
sorrisi anzi
nascondete le
lacrime inutili
che non dicono
più niente!
Mi dispiace
ma non è
vostra la terra
che mi sporca
le dita.
Le vostre
candele senza
colore non
illumineranno
il buio della mia
morte e non
sarà la tua voce
ad accarezzare
il pianto!
Solo perdona
il fatto di non
potermi toccare,
e non vedendomi
ricorda la
mia presenza
senza alcuna
volontà di dolore.

.....scritta un po' di tempo fa, un paio d' anni, ma a cui tengo tanto. Eccola a voi.

martedì, dicembre 16, 2008

un' idea folle-puntata 5 (Come illudersi di ritornare)

Si lo so mi sono assentato per un po' senza motivo. Ma ora ritorno con la mia idea folle e vi propongo anche un titolo, giudicate voi anche se ho quasi deciso. Ecco il probabile titolo: "Come illudersi di ritornare". Ed ora beccatevi la puntata.

LE COSE CHE SONO DETTE
Ormai il sole è tramontato. D pensa che sia una fortuna che la notte esista anche d' estate. Si ferma davanti la porta di casa, esita qualche secondo prima di entrare. Entra. Cammina lento fino alla cucina. Ci trova il padre e la madre, seduti in silenzio senza nemmeno guardarsi, fermi, come oggetti inanimati. Si stupisce di trovarli lì. Poi pensa che in fondo sono solo le otto e mezza di sera, quindi è normale. Si guarda intorno istintivamente, senza rendersene conto. Non ha proprio niente a che spartire con quella casa. Un pensiero che non riesce ad intristirlo. La casa è vuota, senza parenti ne amici. Una fortuna, pensa. Resta fermo lì sulla porta, immobile, lasciando che il tempo scorra. Non sembrano accorgersi di lui, ne lui presta la minima attenzione a loro. Restano solo fermi, ognuno nella sua posizione, come in una di quelle foto neorealistiche in bianco e nero. E' il padre ad alzare lo sguardo verso di lui. Resta a guardarlo dritto i faccia, come si guarda un estraneo. D non ha nessuna reazione. Poi il padre parla:
"Perché?" quella domanda risuona secca e pesante come un sasso lanciato contro una finestra. La voce non ha alcuna inflessione, nemmeno la formale cortesia fra estranei. Niente di niente. Poi continua: "...perché hai voluto pagare, perché hai voluto dimostrare la tua presenza?"
"Non me ne frega niente di dimostrare niente. Ho pagato perché avevo quei soldi, e perché volevo pagare il funerale di mio fratello."
"I Padri dovrebbero pagare, non i fratelli"
"Francamente non mi pare il momento per una discussione simile. Non si tratta ne di me ne di te, immagino te ne renda conto. Avevo quei soldi, tutto qui. Finiamola qui."
"Il tuo discorso non fa una piega. In fondo sei suo fratello, in fondo hai ragione."
Il padre riabbassa lo sguardo. D resta fermo dove è. Non è sicuro che il suo discorso non faccia una piega, e non è sicuro del perché abbia fatto quello che ha fatto. Ma non ha importanza. Le cose sono come sono, e forse neanche quello ha più importanza. Il padre si alza, resta un attimo a guardare D, poi riprende a parlare:
"Non ti biasimo per la tua presenza qui. Non ti biasimo di niente. Hai fatto quello che dovevi. Solo non cambia niente, e penso che te ne renda conto pure tu. Forse hai ragione se dici che non è il momento, ma vedi probabilmente non ci sarà mai il momento giusto per parlarne, non ci sarà mai niente d cui parlare. Le cose stanno così e ci rimarranno. Non te ne do la colpa, e non me la prendo nemmeno. Solo non cambieranno. Il resto non ha importanza."
Non lo guarda più. Esce dalla cucina verso la stanza da letto, senza mai guardarla. D capisce che probabilmente non si guarderanno più. Lo segue con lo sguardo. Scopre la madre a guardarlo, con la freddezza delle statue. Lei comincia a parlargli:
"Lui non ti biasima, e nemmeno io. Oramai non ho alcun interesse in quello che succede. L' ho convinto io a non fare niente sulla questione dei soldi"
"Ne sono stupito. Forse dovrei pesare che....."
"Non c' è niente da pensare. Io sono solo più pratica. Ci servivano quei soldi, se li avesse cacciati chiunque altro non avrebbe fatto differenza."
"Ne prendo nota."
"Te ne sei andato. Tutto qui, ed ora mio figlio è morto. Penso non ci sia altro."
Lei si alza e fa per andarsene. D parla con il dolore nella voce, rivolgendole lo sguardo in viso:
"Scusa mamma se non sono morto io....scusa!"
"Non fa differenza, non sono così stupida da darti la colpa. Solo che per me non fa differenza. Resta quanto vuoi, fai quello che vuoi. Per me non fa differenza. E non mi sento in colpa per questo"
Se ne va. D sa che sono le ultime parole fra loro, e forse è vero che non fa differenza. Lui se ne è andato, hanno ragione. E' quello che voleva, starsene da solo. Si siede. Guarda la parete di fronte nel silenzio della casa, che non è più la sua. Quando si alza per andare a letto non ha idea di quanto tempo sia passato.

mercoledì, dicembre 03, 2008

un' idea complicata-terza stagione

Un' idea complicata. Come il comprendere il verificarsi o il non verificarsi dell' essenziale, la naturale incompletezza del ricorso degli eventi. Come se i propri punti vincolari non avessero alcuna facoltà, alcuna attinenza alla resistenza. Ad ogni azione è pretesa la reazione che giustifichi una direzione privilegiata degli eventi, un' economia delle energie che comunque non ci è dato comprendere. Ma minimizzare la dissipazione non ci rende adatti alla evoluzione dei sistemi. Ed allora il tempo tramuta in forme ogni sensazione che possa influenzare quel precario equilibrio prossimo al collasso. Persino il reciproco scambio fra le parole e il susseguirsi degli eventi in un disordine regolato da attente regole di selezione non soddisfa lo sforzo dello spiegare, la ricerca delle forme esatte, il compiersi del legame fra il volere e l' agire, la fine che lega l' inizio. I modelli si perdono e possono solo imitare un vecchia idea che alla luce della nuova linea evolutiva risulta quasi ridicola. Tanto da far assomigliare le certezze alle risate, il dispiegarsi dei ragionamenti ai racconti innocui dei passanti. Allora il senso prevarica il fallimento, l' inadeguatezza delle regole pretese adimensionali assume l' aspetto del disegno ed il suo compiersi, che equivale al non compiersi affatto, poiché il fare è equivalente al non fare, la fine al cominciare, il dire al tacere. Un' idea complicata come il catalogare l' inessenziale, il necessario divisorio fra quello che deve e quello che potrebbe non dovere, senza poter sperare di più, solo un probabile margine di errore, senza la sapienza del proprio fallimento se non alla fine. Una diagnostica tendenza all' esaurirsi, un potrebbe che rappresenta tutta la sapienza di cui siamo capaci, una minima speranza che l' errore sia giusto almeno quanto l' esatto. Ammesso che esistere e non esistere abbiano un reale margine di rivelamento, una soglia da poter rappresentare in qualche ragionamento, seppur contorto. Di fronte ad una così comprensibile deriva di un sistema rappresentativo, è necessario affidarsi alla non conoscenza piuttosto, poiché l' assenza risulta quantomeno evidente, e la giustizia assume la dimensione di una propria tolleranza alla variabilità degli avvenimenti. E si è riportati alla relazione d' ordine fra le variabili e lo spazio circostante che si riduce ancora più all' elementare porzione di reale concepibile come slegato dalla volontà. Un' idea complicata, come il voler ammettere di decidere dove stare, come una posizionale regola di diritto all' esistenza. Un' idea complicata, come ammetere che esista una visione di un qualche insieme.

martedì, dicembre 02, 2008

un' idea complicata-seconda stagione

Un' idea complicata. Come la rassegnazione all' evidente inadiempirsi del proprio modello, elegante ma innocuo, come la minimizzazione dell' azione. Una qualunque delle azioni, tanto sono tutte equivalenti. Ed allora il simmetrizzare assume valore nel suo fallimento, tanto che il tempo si pone come maestro e discepolo, e l' equilibrio sembra una fine, il cambiamento una perdita, l' ordine una sconfitta. La processione di tentativi di riferimenti facilmente derivabbili l' uno dall' altro ci pone lontano dalla verità, fino a convincerci che non ci sia alcuna verità. E le nostre idee sono solo una approssimazione del desiderio, del possibile modello, l' auspicabile configurazione stabile secondo parametri che nonostante abbiano continuità con il loro variare, risultato inefficaci nella descrizione del sistema involutivo. Quindi le forme che i ricordi assumono restano postulate senza poter chiudere il sistema. Il che ci riporterebbe a complicatissimi discorsi attorno al senso delle cose. Eppure si può pensare di linearizzare il sistema di cose, togliendosi dal globale, ponendo i propri parametri ad interagire col locale, in un intorno di noi stessi, in cui ci siamo noi. Un' idea complicata come il riscrivere tutto in forme adimensionali, leggi che siano libere dal dove e dal quanto, circoscritte a spazi chiusi e limitati incentrati intorno a noi, al variare continuo nella nostra struttura derivativa. L' unica continuità resta la dipendenza temporale, che circoscritta al nostro intorno resta quasi lineare. Allora le parole nella loro corrispondenza imbarazzante, ci legano al variare dello spazio, come le forme del tempo, una questione logaritmica alla nostra risposta, come l' entrata all' uscita, come il dopo al prima, come il forse al perché. L' indefferenzialismo inattivo dell' accadere ci rende sconfitti e spesso ipocriti, nell' affannoso tentativo di ben porre i problemi nelle proprie strutture. Un' idea complicata, il linearizzare il perché degli eventi, come il succedersi delle variabili nel rappresentativo astratto di noi stessi. La derivazione temporale delle nostre motivazioni sembra assomigliare alle nostre scelte, e persino il loro senso molare ci illude che le soluzioni siano uniche e ben definite. Un' idea complicata come l' inessenziale, ammesso che l' essenziale esista.