tag:blogger.com,1999:blog-39253408523281993942024-03-13T00:04:20.032+01:00potrebbe servire un po' di silenzio.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.comBlogger57125tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-50598806453879521842011-02-06T04:12:00.001+01:002011-02-06T04:16:40.431+01:00nel triangolo inscritto<div style="text-align: justify;"><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; "><strong style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; ">-Il lato più breve-</strong></p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Il freddo semplificava un po' le cose, ed era bello anche per questo. Bisognava stare fermi, per meglio sopportare la forza del vento, per meglio opporre il proprio corpo alla pesantezza dell'aria fredda. Decidemmo di non stringerci, non sembrava la cosa più naturale da fare, e non la facemmo. Facevamo finta di ridere, o meglio cercavamo di fingere che quelle risate non fossero amare. Certe cose vanno sempre fatte in una stazione, dove il rumore del treno ti rende scomodo, ti mantiene sempre viva nella mente quella sensazione di non appartenenza a quel luogo, un luogo dove si transita soltanto e dove niente vi appartiene. Che sollievo. L'estraneità è quasi una gioia in giornate come quelle, fredde e limpide come il vetro, lontane come solo l'inverno sa essere. Era già da un po' che non ascoltavo più, il freddo mi sembrava l'unica cosa reale, ed era bene così. In fondo la conoscenza del perché rende tutto senza significato. Di tanto in tanto ridevo, alzavo gli occhi e respiravo forte, lei si fermava a guardare i binari, poi sorrideva ed inseme chinavamo il capo come ad accompagnare la risata. Parlavamo di cose senza senso, senza importanza, bastava dire delle parole, l'importante era solo quello: il suono di ciò che si diceva, non il suo significato. Ci sentivamo giovani, essendo lontani. Avevo fame, ma non lo dissi, me ne vergognai come un bambino, pensai che avrei mangiato meglio da solo, che dopo sarei stato molto meglio solo. Non mi curavo di cosa lei pensasse, non ero lì per lei ne lei era lì per me, eravamo solo dove dovevamo essere, nel freddo che ci teneva uniti, insieme, lontani, sereni. Decisi di non fare domande, di non chiedere niente, nessuna spiegazione, sarebbero state troppo serie ed avrebbero prodotto una discussione troppo seria. In quel momento dare importanza a qualcosa sarebbe stata una condanna, dover ammettere qualcosa una cattiveria inutile, non potevamo sopportarlo, non ne avevamo la forza ne la voglia o l'animo, eravamo vuoti, pieni solo del vento, un vento freddo che voleva quasi giustificare la nostra presenza, non avevamo altri obblighi verso noi stessi ne verso quel luogo, non avevamo altro da fare se non stare lì. Fui stranamente contento che non piovesse, il celo poco nuvoloso mi rasserenava, con la pioggia si sarebbe perso tutto: il freddo, la panchina, i treni e persino il loro rumore; la pioggia avrebbe coperto tutto rendendolo uguale a noi, lo avrebbe riempito come riempiva noi, ci avrebbe fatto appartenere l'un l'altro ed insieme a quel luogo, a quel giorno che non doveva essere di nessuno, tanto meno il nostro. Mi guardava poco, preferiva le rotaie o il celo, tal volta si fermava sulle persone, si voltava solo per sorridere, chinava il viso e si copriva un po' il naso, io restavo fermo guardandola di lato, mi voltavo spesso indietro ma restavo comunque a guardarla. In quel momento avrei desiderato avere il vizio del fumo, una sigaretta fra le dita, il gesto ripetitivo del fumare, l'odore sgradevole, l'accendino che non funzionasse bene. Guardai una donna col cane, piccolo e chiaro, simpatico, la guardammo insieme, provai un po' di nostalgia ma non capii bene perché. Aspettammo che si allontanasse seguendola con lo sguardo, poi ci guardammo senza sorridere. Socchiusi cli occhi ed alzai un po' la testa facendo un lungo respiro, che mi gelò i polmoni, poi le sorrisi. Lei era seria. Ci alzammo ed uscimmo lenti dalla stazione. Quel lungo tratto lo percorremmo mano nella mano.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">-<strong style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; ">Il vertice opposto-</strong></p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">C'erano troppe persone in quella stanza, anche se sembrava quasi non ce ne fosse nessuna. Dal tavolo si alzavano fumi di sigaretta che mi davano un po' fastidio agli occhi, ma feci finta di non badarci, ero l'unico che non fumasse e non mi andava di alzarmi. Bevevo, piano, quasi per ammazzare il tempo, per tenermi occupato mentre guardavo senza vedere la partita che si svolgeva stanca a quel tavolo. Avevo finito di giocare ed era ormai troppo tardi per rientrare. Pazienza, pensai, fra un po' ce ne saremmo andati comunque tutti. Lei si tolse le scarpe lamentandosi, piegò le gambe sulla sedia e comincio a massaggiarsi i piedi. Le sorrisi, lei mi rispose con una smorfia, sorseggiai quello che avevo nel bicchiere.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Ti farei un massaggio” le dissi, “ma...”</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Lo so, non ti piace toccare i piedi delle persone...figurati.”</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Mi sorrise, ma la voce era lontana, o almeno a me sembrava così, che in fondo è la stessa cosa. Finì quello che avevo nel bicchiere e lo posai, di fronte si chiacchierava, ma non mi sembrava interessante. Qualcuno propose di fare un giro in centro, io pensai che camminare in strada col freddo mi avrebbe fatto bene, ma avevo mal di testa e volevo stare da solo. Si parlava di cosa fare, io non risposi, mi sarei defilato e avrei camminato un po'. Lei mi guardò un attimo poi disse</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Non posso camminare, mi fanno troppo male i piedi....”</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Lo so... peccato”</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Mi venne in mente un ricordo, di almeno 15 anni prima, un ricordo insignificante, scolorito, che non credevo nemmeno di avere, una cosa stupida di quando ero un ragazzino. È curioso come poi ti vengano in mente certe cose, del perché, se mai ci fosse, in un preciso momento ed una precisa immagine che riaffiora, senza preavviso, senza alcuna volontà, senza nessun legame con quello che stai facendo o vivendo. O forse è quello il gioco, il voler trovare per forza un legame, per forza un perché, senza pensare che forse siccome sono due momenti della tua vita sono legati per forza, sei tu il legame, quello che sei, che dipende sempre da quello che eri in quell'immagine che ricordi. Bisognerebbe solo accettare le cose per quello che sono, che non dipende affatto da quello che siamo noi. Mi sorpresi ad essere lieto per quell'immagine, ad essere divertito dal ricordare persone che non vedevo più, né avrei mai più rivisto in seguito. Le cose vecchie della vita a volte sembrano oggetti da mettere su di un tavolino, certamente inutili, ma è come se ne sentissi la mancanza quasi senza saperlo. Non volli dare nessun significato a quel ricordo, in fondo non ne hanno mai, né quando nascono né quando rivengono alla mente. Il tempo non ci appartiene affatto, non possiamo capirlo, non possiamo dominarlo, non possiamo accettarlo. In questo i ricordi sono una truffa, un espediente per credere in qualcosa, in quello che siamo stati, per convincerci che c'eravamo da qualche parte, che ne valeva la pena. Ma non è vero, i ricordi non sono mai sinceri, sono l'aspetto delle cose che ci piace vedere. Il più delle volte sono una consolazione, ed è il massimo che possiamo sperare. Il mal di testa mi distraeva, cominciava a farsi troppo insistente, il dolore mi innervosiva e cominciavo ad essere impaziente. Dovevo fare qualcosa che mi aiutasse a dimenticare quel dolore, e non c'era niente in quella stanza che sembrava fare al caso mio, anzi tutte quelle presenze quasi amplificavano il mio nervosismo, ovattavano l'aria e la facevano pesante. Mi alzai tentando di mantenere un'aria indifferente per nascondere il dolore, lei mi guardò e comprese tutto. Si alzò senza mettersi le scarpe e mi venne dietro nella stanza, mi porse un bicchiere pieno per metà con un sorriso, fui contento ed un po' mi rasserenò. Sorseggiai lentamente, lei mi rimase di fronte con un sorriso lieve, luminoso, bello come una carezza, come una mano calda. Mi sentii meglio e le fui grato. Posai il bicchiere e presi la giacca, la guardai per un po', poi le baciai la fronte carezzandole i capelli, salutai tutti e scesi in strada. Il freddo mi faceva bene, il silenzio dell'ora tarda fu un sollievo. Camminai per un bel po' prima di decidere dove andare. Mi fermai e mi appoggiai ad un lampione, presi il cellulare e scorsi la rubrica con calma. Chiamai un vecchio amico che da giorni mi ero ripromesso di sentire. Gli raccontai molte cose, poi ripresi a camminare.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; "><strong style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; ">-Il terzo lato-</strong></p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Si termina sempre in una stazione. L'aria non era neanche troppo fredda. Avevo il desiderio di toccarla con la punta delle dita, le mie dita calde ed il suo viso un po' freddo, ma me ne vergognai e non lo feci. Lei forse lo capì ma non fece niente. Il malessere è come una bugia alla quale non riusciamo a credere, il ricordo costante di ciò che in qualche modo abbiamo perso. Ha la stessa natura del tempo e non è vero che passa, spesso ci si abitua soltanto. E lo si ripone in disparte, proprio come un ricordo, tanto che col tempo ne dimentichiamo persino il perché, ci rimane solo quel piccolo sentimento, come uno spillo nella pelle. Io rimasi con le mani strette in tasca, quasi a volermi reggere a quello spillo, a volermi aggrappare a quel malessere al quale mi ero abituato già da troppo. Non ebbi la forza di tirarle fuori. Forse avrei preferito non dover parlare, rimanere in balia dei rumori delle altre persone e guadarla, guardarmi mentre la guardavo, guardarla mentre mi guardava. Guardarla per il solo gusto di tenerla negli occhi, per come la vedevo limpida e bella mentre mi sorrideva, per riuscire a credere che era lì perché c'ero io così come io ero lì perché c'era lei. Mi sarebbe bastato, almeno per un po', e forse sarebbe bastato anche a lei. Ma non ne fui in grado, non riuscii a farmelo bastare, a spegnere il pensiero come sapeva fare lei. Peccato. Come sono crudeli a volte le parole, con la loro verità, il loro peso sui nostri volti, le espressioni, a voler spiegare chi siamo, tolgono il respiro agli occhi, al guardare, al silenzio che spesso ci consola. Parlammo per un po' di cose futili, come se fosse normale. Ridevamo leggeri, o almeno sembrava, ma non c'era differenza, non per noi. Cercavo di non avere ricordi, volevo riempirmi solo di quella stazione, di quei rumori, delle persone che andavano e venivano, delle parole leggere che dicevamo, dei sorrisi, di lei che si toccava il naso, dei suoi capelli, di me che mi lisciavo la barba. Che cosa stupida in fondo. Come se tutto potesse poi servire a qualcosa, tutte quelle parole che ci saremmo detti, alle quali poi avremmo creduto, tutti i miei pensieri, le sue spiegazioni, le mie reazioni ed i suoi sorrisi. In quel momento avrei voluto saper credere, smettere di capire e credere, solo quello, senza pensieri o ragioni, senza domande, solo credere. Mi guardai le mani, lo feci senza pensarci, osservai i palmi aperti e gli anelli, la linea delle dita e le unghie un po' lunghe, le linee della pelle. Tutta la mia sicurezza in quelle mani, nelle mie dita, nelle mie unghie. Richiusi i palmi lentamente e le rimisi in tasca, lei mi stava guardando forse un po' incuriosita e con un sorriso flebile negli occhi. Non riuscii a sorriderle. Ci raggiunse una voce alle spalle, una vecchia amica, più sua che mia. Allegra ci venne incontro salutandoci, si abbracciarono, io la salutai con un cenno ed un sorriso. Parlavano e ridevano, intanto cominciammo a fare qualche passo. Io mi tenni un po' indietro per guardarle meglio, per guardare lei mentre chiacchierava di cose che non mi riguardavano. Lei che rideva. Volevo tenerla il più possibile negli occhi, nello sguardo, volevo vederla. Mi sentii un po' solo, e fu un sollievo, come un lungo respiro, guardarle da lontano. Mi guardai intorno, mi venne in mente una vecchia canzone che canticchiai, avrei voluto sentirla nell'aria. Ma mi accontentai di ricordarla. Continuai a stringere le mani in tasca mentre camminavamo, lei si voltava di tanto in tanto per vedermi qualche passo dietro di loro. Un po' mi mancava il freddo dei giorni passati, il vento. Si fermarono, si dissero qualcosa e la nostra amica mi guardò pronunciando un “va bene”. Mi sorrise ed io la salutai raggiungendole, si baciarono. Restammo di nuovo noi due. Ci avviammo verso l'uscita della stazione, lei mi prese sotto braccio abbassò la testa in un gesto di confidenza e mi disse ridendo</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Ho quasi avuto paura che non se ne andasse più”.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Ridemmo insieme. Ci fermammo indecisi su cosa fare, lei si voltò e disse</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Camminiamo un po'?”.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Annuii e ci avviammo, lasciai a lei il compito di decidere dove andare, tanto per me non faceva differenza, in realtà camminare un po' mi scocciava, ma era un ottimo modo per evitare la gente intorno, per sentirci come se fossimo soli. E poi la distrazione di compiere un gesto mi era necessaria, e forse era necessaria anche a lei. Camminammo, come voleva lei. Per fortuna erano le sei di sera ed il sole era già calato da un bel po'. Almeno il buio mi rianimava un po', il sole sarebbe stato insopportabile, con la sua luce. Lei si raccolse i molti capelli tenendoli fermi con una matita. Come era bella in quel gesto, mi dava sollievo, li raccoglieva tutti tenendoli alzati sopra la nuca e scoprendo il collo, ed era chiara come una luce mentre lo faceva, limpida come la calma. La guardai e decisi che quello sarebbe stato il mio ricordo, la sua bellezza sarebbe stata la mia consolazione. Mi sentii meglio. Mi guardò abbassando un po' la fronte, poi mi chiese tirando un sospiro</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Perché?”.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Io abbassai il viso per qualche secondo, poi tentai di risponderle mentre riprendemmo a camminare. Le raccontai il tempo trascorso, le raccontai dello spillo che avevo nella pelle, del mio malessere, delle mie idee, le delusioni, le cose accadute, quelle perse, le raccontai di quei giorni in cui lei ancora non c'era, di quei giorni in cui forse non c'ero nemmeno io. Poi le dissi anche dei giorni in cui lei arrivò. Di tutte quelle cose che non capii, di quelle che credevo di aver capito. Le dissi delle persone che avevo conosciuto e di quelle che stavo conoscendo. Avrei voluto dirle il perché di molte cose, ma non lo trovai e fui sincero. Tentai di farle vedere le mie parole, di farle vedere lei stessa, me stesso, quella sera e le altre trascorse. Le parlai delle cose che sapevo e di quelle che non sapevo. Lei mi ascoltava guardando la strada, talvolta si voltava verso di me. Io tentavo di guardarla il più possibile. Si toccava spesso il naso con la punta delle dita, mi piaceva quel gesto, mi piaceva come lo faceva, quasi senza accorgersene, mi piaceva guardarla mentre lo faceva. Era rassicurante, bella, quieta. Incrociammo gli sguardi proprio mentre lo faceva, scoppiammo a ridere. Fu come un grosso respiro si sollievo. Si rifece seria in un attimo, mi raccontò anche lei di alcuni suoi giorni, di una cosa accaduta, di lei nei giorni in cui non c'ero. Io volevo solo capire, poi il resto, credevo, sarebbe venuto da sé. Non avevo certezze e non cercavo conferme, questo almeno era già qualcosa.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Andiamo di qui, ho bisogno di fumare” mi disse.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Ci fermammo vicino ad un muretto, io mi sedetti, lei mi rimase di fronte. Si accese una sigaretta. Non mi piaceva vederla fumare, ma non ci feci caso. Aveva gli occhi bassi, forse cercava qualcosa da dire. Io la guardavo fisso, ebbi l'istinto di carezzarle i capelli, ma mi trattenni e non so nemmeno perché. Lei salutò un amico che passava in quel momento, scambiarono qualche battuta. Tornata da me le dissi “Rassicurami”.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Lo dissi ridendo, come uno scherzo, ma in fondo ci speravo. Speravo in un gesto o in una parola che rendesse tutto chiaro. Speravo in qualcosa che mi togliesse il peso della comprensione. Lei mi guardò seria, buttò la sigaretta rispondendo che non sapeva come fare. Anche lei aveva il suo malessere, il suo spillo, io lo sapevo e non potevo aspettarmi niente, né tanto meno me l'aspettavo. Non c'era niente da aspettarsi, lo sapevamo tutti e due. L'unica cosa che le chiesi fu di non nascondersi, non mentirmi, così come io non mi nascosi, era l'unica certezza che avevo, l'unica che volevo avere. Forse era tutto lì. Forse percorrevamo lati diversi, che si sarebbero incontrati chi sa dove, o forse no. Non lo sapevamo. Cominciammo a camminare, questa volta fummo più vicini, ci guardavamo. Io alzai la testa, pensai che alla fine era tutto lì il senso, in quella strada. Avrei voluto sapere dove eravamo, ma forse non importa, non più almeno. Ci fermammo, le presi la mano e le dissi con un po' d'imbarazzo</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Forse ho bisogno di una persona come te nella mia vita...”</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Si, forse si”.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Mi strinse il braccio al collo e mi diede un bacio sulla guancia. Mi disse con il viso ancora appoggiato al mio</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">“Devo andare scusa....”.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">Mi sorrise un po' amara, io la guardai entrare nel portone qualche metro più in là. Mi guardai la mano prima di incamminarmi pensando a cosa mi fosse servita quella sera, mi domandai se in qualche modo avessi trovato le risposte in cui speravo. Mi risposi che non lo sapevo. Mi rimisi la mano in tasca e mi avviai.</p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; "><br /></p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; "><br /></p><p style="font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 16px; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; ">(postilla: ho pensato, perché scrivere di qualcuno è un dono infinito che spesso non si riesce ad apprezzare. E' come immergere quel qualcuno nella luce del ricordo, nella gioia che si ha nel rivivere quel momento che si è scritto, dove tutto non può essere che migliore, migliore persino di noi che scriviamo. Pur essendo la verità, è pur sempre qualcosa di scritto.)</p><div><br /></div></div>johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-69470465821596906822010-07-19T04:16:00.003+02:002010-07-19T04:21:07.594+02:00dopo un po' di tempoAll'ultima amica su questa spiaggia (titolo)<br /><br />Riconoscerò la mia fine<br />appena ne sarò degno,<br />e per ciascuno di loro<br />sarò pronto,<br />e ciascuno di loro<br />sarà pronto per me.<br /><br />Di te anima<br />cercherò la mano<br />amandola stretta.<br />Piano ti mostrerò<br />la mia sabbia<br />e desidererò,<br />abbandonarmi<br />sui tuoi occhi.<br /><br />Conterò quei<br />pochi giorni che<br />tardano a venire,<br />nei miei dispiaceri<br />ritroverò tutto<br />il tempo perduto.<br /><br />Rimango mentre<br />te ne vai e mentre<br />me ne vado,<br />rimani.<br /><br /><br />(ho l'idea che a scrivere la verità ci si senta ridicoli)johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-47347061134864451772010-02-21T06:25:00.002+01:002010-02-21T06:37:47.632+01:00un piccolo ritorno...Devo abituarmi alle mie assenze.....e va beh. Ritorno con un po' di ritardo con una poesia, appena scritta in verità. Eccola a voi.<br /><br />IMMAGNIFICO.<br />Forse<br />di tutto questo<br />ne troverò la gioia.<br />Piccola,<br />un solo attimo,<br />ma tutta mia.<br />Forse<br />che il tuo sorriso<br />non sia per me<br />non importa.<br />Mi basterà vederlo.<br />Mi accontenterò<br />di un ricordo,<br />che mi faccia sedere<br />un po' più in là.<br />Potrò comportarmi<br />come se fossi<br />un desiderio,<br />ed ingrato<br />mi guarderò<br />da lontano perdendomi.<br />Forse<br />non importa<br />che tu ci sia,<br />e forse non ci sei.<br />Cercherò di credere,<br />saprò dire la verità.<br />Confiderò<br />nella voce di un amico<br />e distante<br />resterò vivo.<br />Starò bene,<br />lasciando che la pioggia<br />mi scivoli addosso<br />come una carezza.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-36756577445459942392009-09-09T03:45:00.003+02:002009-09-09T04:42:13.848+02:00monologo sul viaggio......<div align="left">Con il passare del tempo il viaggio sembra l' unico modo per restare da qualche parte. Il solo spostarsi non lo contempla tutto, viaggiare è modificare lo spazio intorno, modificare come tale spazio interagisce con noi. Se guardi fuori te ne rendi conto. E' fondamentale. Bisogna vedere le cose che si allontanano per capire che si sta viaggiando. Il dove si arriva ha il solo scopo di indicare il compiersi, tenere a mente dove si è cercato. Se sei in viaggio la cosa peggiore sono i giorni che passano, il chiaro sentimento delle ore che se ne vanno. Un' agonia terribile, come sorseggiare l' ultimo bicchiere. Guardando fuori dai finestrini o dal vetro degli alberghi vedi distintamente i giorni passare, senti il sapore in bocca di ogni minuto. Alla fine comprendi come il piccolo tentativo di dare un colore a tutti quei minuti sia stato inutile, come in fondo non importa niente di che hai fatto, importa solo quello che riesci a ricordare. Le cose che vedi hanno lo stesso peso di quelle che ricordi, o che fingi di ricordare, perché in fondo l' immagine è solo un pretesto per credere di aver vissuto qualcosa per cui ne valeva la pena, qualcosa che rimane anche senza il tuo guardarla. Cosa comprensibile in fondo, perché la condanna dell' uomo è ostinarsi a cercare qualcosa che sia fuori da se stesso ma che lo renda comunque tale. Nelle stanze dei motel ho sempre avuto la netta sensazione di profanare un ricordo, di prendere il pezzetto di viaggio di qualcun altro. Si fa troppo presto a comprendere che le facce anonime, le lenzuola </div>pulite, i bar ed i ristorante non hanno il potere che speravamo, non ti danno quella novità, quella distanza che renderebbe le cose come dovrebbero essere. Rimane la gente, ma dopo un po' ti stanchi anche di quella, degli stranieri, dei camerieri dei bar, delle commesse dei negozi di souvenir, e comincia a giungerti la curiosa sensazione che siano sempre le stesse persone che si cambiano d' abito. Stranamente rassicurante. Il bello sarebbe porsi nel mezzo nel decidere fra quello che vedi e quello che immagini, fra vivere e ricordare. Il viaggio è questo, cercare il punto preciso che ti permetta di confondere ciò che c' è dentro con ciò che c' è fuori. Il resto, se c' è, viene da solo. Lo sapevamo, lo abbiamo sempre saputo, solo che avevamo voglia di dimenticarlo. Sembra più semplice pensare al viaggio solo come al vivere posti che non ci appartengono, senza sapere che nessun posto ci appartiene, senza sapere che l' unica cosa che rimarrà del viaggio è l' essere stati lontano. Nelle stanze fredde senza umanità dei motel mi ha assalito la disarmante consapevolezza che per stare fermi basterebbe chiudere gli occhi.<br /><br />postilla: si potrebbe pensare che in fondo il tempo è solo un modo per tenere da parte dove si è arrivati da dove ancora bisogna arrivare; ho travato in un cassetto un bigliettino scritto a mano, ho voluto credere alle parole che leggevo, come se fossero state dette da un amico.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-43127561920782901312009-08-25T04:29:00.003+02:002009-08-25T05:31:22.665+02:00le cose accadono...Lì dove era, appoggiato al vetro freddo della finestra, guardava fuori e pensava a tutte le cose che non riusciva a vedere. L' unica certezza che aveva era il bicchiere che aveva in mano. Immaginava cosa, in un' altra città, una certa ragazza stesse facendo, cosa stesse pensando. Forse non avrebbe dovuto trovarsi dove si trovava ora, forse in un preciso istante che non ricorda ha sbagliato strada, facendo girare la sua vita dove non doveva girare, facendole prendere una direzione che proprio non era la sua. Avrebbe dovuto innamorarsi, e magari essere sposato, avere un figlio. Cercò di buttare giù il contenuto del suo bicchiere, ma vi rinunciò, non era certo un bevitore, lo posò sul tavolo e si fermò ad osservarlo bene, in ogni suo lato, in ogni riflesso che il vetro creava, ogni piccola riga di colore che sfumava sulla superficie curva del bicchiere. Cercò <span id="SPELLING_ERROR_0" class="blsp-spelling-error">disperatamente</span> una risposta in quei riflessi, in quelle linee, ma non la trovò. Aveva solo la tremenda sensazione di trovarsi nel posto sbagliato, o nella vita sbagliata, che poi è lo stesso. Perché in fondo questo sono le persone: il posto in cui vivono, le cose che fanno, le persone che incontrano; ed è un magnifico paradosso, perché basta solo un soffio, un attimo per sbagliare strada e trovarsi ad essere una cosa diversa da quello che si dovrebbe, o si vorrebbe. Perché poi il dovere non esiste, non si deve essere niente, c' è solo quello che si vuole essere, quello che si vuole vivere. Sorrise al ricordo di un mattino nitido di primavera e di una pessima figura. Non aveva mai creduto alla favola ben <span id="SPELLING_ERROR_1" class="blsp-spelling-error">confezionata</span> del libero arbitrio, alla storiella che tutto è nelle nostre mani, tu puoi fare ciò che vuoi, le cose non <span id="SPELLING_ERROR_2" class="blsp-spelling-error">funzionavano</span> così, non per lui almeno. La verità è che in un attimo vedi quello che vorresti, ciò che vorresti essere, e ti metti a rincorrerlo, dovunque e comunque. Se sei fortunato raggiungi un quinto di quello che vuoi, un quinto di quella felicità che credevi di raggiungere. Se sei solo stanco, come lo è quasi tutta la gente, allora ti siedi e ti accontenti di quello che arriva, di quello che puoi prendere allungando appena la mano. E non si capisce di cosa poi si è realmente stanchi, perché in fondo non si è fatto niente. Solo di tanto in tanto con un bicchiere in mano, ti metti a ricordare quello che volevi, e ti basta, te lo fai bastare, immaginare come saresti stato se il mondo non andasse come va. E accade che cominci a crederci sul serio che le cose vanno come vanno, che poi uno deve andare avanti, che poi la realtà è un' altra, senza mai chiedersi "ma avanti dove?", senza mai pensare che il mondo gira in quel <span id="SPELLING_ERROR_3" class="blsp-spelling-error">dannatissimo</span> modo perché sei tu che lo fai girare, che se ti fermi un giorno e dici basta il mondo si ferma, che se ti volti e non vedi niente allora vuol dire che non hai fatto niente, che non sei niente. Che in fondo un quinto della felicità non è poi male. Bisbigliò la frase che sua madre gli diceva spesso: "la vita è come il latte, bisogna berla tutta prima che scada". Guardò <span id="SPELLING_ERROR_4" class="blsp-spelling-error">istintivamente</span> l' orologio pensando che non è poi troppo tardi. Decise che avrebbe dimenticato tutto, tutta la vita sbagliata fatta fino allora, tutto ciò che lo avrebbe distratto fino a che non avrebbe ritrovato lei, e da lì avrebbe <span id="SPELLING_ERROR_5" class="blsp-spelling-error">ricominciato</span> tutto, ogni cosa sarebbe passata, e se poi non l' avrebbe ritrovata pazienza, tanto non si <span id="SPELLING_ERROR_6" class="blsp-spelling-error">ricorderebbe</span> di aver fallito. Prese la sua piccola agenda e vi scrisse su di una pagina giusto al centro: "RITROVARE LA RAGAZZA"; così giusto per essere sicuro di non dimenticare pure quello. Pensò che in fondo ci sono tante strade diverse per andare in un posto....<br /><br />(piccolo brano che, appena adattato, finirà nel romanzo che sto scrivendo...il mio primo romanzo.)johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-34260469548655174992009-06-20T04:22:00.002+02:002009-06-20T04:25:54.303+02:00lettera all' insensatezza (sull' interiorità delle cose insensate, o l' insensatezza delle cose interiori)In effetti il termine delle cose sta nell' iniziarle. E non è affatto cosa da poco anzi. La coscienza di certo non ha alcun reale scopo se non quello di metterci di fronte alle cose per quelle che sono. Ho sempre avuto seri problemi nel figurarmi il fine ultimo degli scopi, il concludersi dei progetti. Cosa che potrei considerare una dote artistica. Ma la sincerità esula dall' arte, come la vita esula dall' infinito. Anche qui ora, nel mio scriverti queste righe, fingo di porre le cose nella giusta misura, mentre non ho idea di quale sia questa misura. Considerare il filtro della mia opinione come plausibile è un bel gioco, il gioco della coscienza pulita, che non ha significato. Dovrei avere la forza di pormi nella tua coscienza. Ma francamente non ne ho alcuna voglia. Forse è questo l' errore, il considerare la volontà come una ragionevole spinta. In fin dei conti sono dove mi aspettavo di essere, e sebbene la previdenza sia una condanna, non riesco a vederci del male. Il tempo sarà l' unica porta che mi preoccuperò di aprire, per il resto basterai tu. Ti do carta bianca, fai pure tutto quello che avrei dovuto fare io, vivi come avresti dovuto vivere con me, tieniti tutti i meriti, per me non hanno valore. Non mi interessa dove andrai, se arriverai da qualche parte e con chi, mi basta il ricordo. In fondo il mio tempo è tutto qui, in quello che le mie mani riescono a tenere, e non me ne rammarico, anzi. Crederò alle bugie, anzi, ne inventerò altre in cui credere, e niente resterà dove è ora. Sai, non felice delle cose a cui ho rinunciato, sono felice delle persone che ho perso, poiché come sono riesco a guardarlo con rispetto. Non credo che la felicità sia avere ottenuto qualcosa. Non mi aspetto di essere capito, figuriamoci, non pretendo certo risultati, ne tuto questo ha uno scopo, in fondo la mia lontananza la considero un dono. Persino tu la vedevi speciale, e per questo non la sopportavi. Penso sia giusto, non perché le cose abbiano un particolare senso, ma perché riesco a concepire ciò che sono. Non voglio uscire, e non pretendo che qualcun altro entri. Tutto sommato non potrei trovami in nessun altro posto senza provare la nostalgia che provo. Non ti faccio nessun augurio, non per cattiveria per carità, ma perché le cose che sono per te non hanno alcun peso sulle mie mani. Mi sederò da qualche parte, aspettando che le nuvole mi indichino la via e facciano il loro corso.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-14985151628803500122009-06-06T02:38:00.003+02:002009-06-06T04:02:34.551+02:00un' idea folle-puntata 7 (Come illudersi di ritornare)Ecco a voi.....si lo so ho un assenza ingiustificata, ma capita. Mi sono ripromesso di essere più costante soprattutto con questa storia, e poi ho altre ideuzze da sviluppare. Vedrete, per ora scusatemi e leggetevi questo.<br /><br />I DIALOGHI SULL' ASSENZA<br />D è fermo in piedi, guarda il cellulare spento che tiene fra le mani. Riprende a camminare. Accende il cellulare ed attende qualche secondo, poi cerca il numero in rubrica. Lo trova. Dall' altra parte si sente lo squillo. Ne servono tre per avere risposta.<br />"Ah D sei tu"<br />"Si. Terrò il telefono spento, ti chiamo per sentirti ed avere qualche notizia. Lì che si dice? Hai avvertito tutti?"<br />"Si. Ho fatto il giro di telefonate, ho parlato col tuo capo. Anche se vogliono indicazioni più precise. Per esempio quanti giorni starai via o se puoi continuare il lavoro da lì"<br />"Non sono in grado di dare risposte, e poi ora come ora non me ne frega niente. Non ho nemmeno il portatile. Dì solo che tra qualche giorno mi farò vivo io"<br />"Come preferisci. Allora non sai quanto starai lì?"<br />"Ancora no. Me ne andrò, ma prima devo recuperare alcune cose, ritrovare alcune persone, forse"<br />"Va bene. Fa come credi, però solo cerca di essere sicuro di quello che fai"<br />"E' questo il punto. Io non sono più sicuro, non sono più sicuro di niente"<br />"Non chiedere troppo a te stesso, e nemmeno agli altri. Siamo solo persone D!"<br />"Non temere. Non ho niente da chiedere a nessuno. Ti chiamo fra un paio di giorni, tu non avere pensieri ok? Mi faccio sentire"<br />Mentre spegne il cellulare si ferma. Resta qualche secondo indeciso su dove andare. Poi decide che prendere la direzione del bar può essere un buon inizio. Ha i passi lenti, volutamente pesanti. Non ha nessuno interesse per quello che gli sta intorno. Ha le mani in tasca e gli occhi leggermente bassi. Pensa che in fondo l' odio per quel paese provato fino ad ora non ha alcun senso. Prendersela con un <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_0">insieme</span> di case gli sembra davvero stupido. Si guarda intorno, si sforza di avere qualche ricordo. Un particolare, un luogo. Qualsiasi cosa. Ma non gli viene niente in mente. Pazienza, pensa, mi verranno. Si sente chiamare. Si volta visibilmente irritato. Una ragazza lo raggiunge salutandolo con la mano. La ricorda, è quella che ha <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_1">incontrato</span> davanti la chiesa. Ricorda anche di conoscerla da tempo, anni. Non gli viene il nome, ma non si sforza. Lo dirà lei. Lei lo raggiunge, sorridente, anche bella. Gli da un bacio sulla guancia, accennato. D non cambia espressione.<br />"D come stai? Fuori la chiesa l' altro giorno mi hai fatto <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_2">preoccupare</span>! Però capisco ovviamente, oddio sono anni che non ti vedo. Ma ti ricordi di me?"<br />"Si mi ricordo, abbastanza" Accenna appena un sorriso. D non ha voglia di fare conversazione ma lei sembra non curarsene. Continua a sorridergli. Luminosa.<br />"Meno male che ti ricordi. Pensavo te ne fosti andato"<br />"No. Un po' <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_3">resterò</span> qui, non so quanto"<br />"E' una buona cosa allora. Stai dai tuoi immagino"<br />"Si. Scusa se ti sembro sgarbato ma non sono di buona compagnia, ne mi entusiasma l' idea di <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_4">chiacchierare</span>. Mi comprenderai"<br />"In verità no. Non ti comprendo, però non ti biasimo"<br />"E' <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_5">già</span> qualcosa" D riprende a camminare e lei lo segue, un po' <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_6">indietreggiata</span>. Camminano alcuni minuti in silenzio. Lei prende coraggio e gli si para davanti.<br />"Scusa se te lo chiedo D, ma perché sei rimasto? Era ovvio che tu venissi, ma perché sei rimasto?" La voce è ferma, senza comprensione ne empatia. La domanda suona come un' accusa. D la guarda qualche secondo poi risponde calmo<br />"Perché ci dovrebbe essere un motivo per rimanere e perché dovrei dirlo a te?"<br />"Se non vuoi dirmelo sei liberissimo. Ma un motivo ci deve essere. In fondo te ne sei andato"<br />"Quindi non posso rimanere. Siete strani voi altri"<br />"Sai cosa penso? Penso che troppo spesso chi si sente diverso vede la sua diversità come un valore aggiunto. Tutti gli altri sono borghesi, banali, ordinari. Non hai mai nemmeno il sospetto che forse sei tu quello fatto male, sei tu che non sei fatto per gli altri?"<br />"Francamente non capisco questa discussione. Tu non sai niente, ne di me, ne del resto. A me non frega niente di come siete fatti voi. Non voglio aver ragione, ne voglio darvi torto"<br />"Però te ne sei andato. La cosa non ti rende migliore, spero te ne renda conto"<br />"Vi sentite stranamente traditi. Siete strani voi altri"<br />"Guardati bene in faccia D. Io volevo bene a tuo fratello, e volevo bene anche a te. Forse non te ne sei mai accorto ma non ha importanza. Il fatto è che sei scappato, non si capisce bene da cosa, ma sei scappato. E noi qui siamo rimasti cercando di capire da cosa tu stessi scappando. Ti abbiamo invidiato, ti abbiamo giustificato ma non siamo riusciti a capirti. Forse scappavi da noi, o forse scappavi da un' idea, da un preconcetto. Hai pensato che forse, quell' idea, quel preconcetto lo avevi creato tu? Lo so che per te forse non ha senso, ma noi ci siamo sentiti traditi, ci siamo sentiti soli. Non ti accuso di niente. Amavi tuo fratello, lo so, e forse hai amato anche me. Però te ne sei andato. Forse non dovrei dirti queste cose"<br />D viene colpito dal ricordo. Un' improvvisa vergogna lo coglie dolorosamente. Lei forse ha ragione. D la guarda come si guarda qualcosa di lontano. Lei gli resta ferma davanti. D cerca qualcosa da dire, ma non lo trova. Riesce solo a guardarla, ora sa chi è. Questa volta lei riprende a camminare. D la segue, in silenzio, ma non smette di guardarla. In fondo è cambiata, cerca di giustificarsi. Ma non ci crede. Cammina e continua a guardarla. Lei sembra non curarsene. Gli parla senza guardarlo. La voce è incolore questa volta.<br />"Ti rifaccio la domanda D. Perché sei restato?"<br />D non risponde, ma d' altra parte lei non si aspetta nessuna risposta.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-55164710534347017012009-04-12T04:17:00.003+02:002009-04-12T05:30:01.711+02:00intermezzo sull' interiorità delle cose (ovvero la bellezza)Servirebbe poter distogliere lo sguardo dalle cose, per riuscire a non esserne colpiti. Ma chiusi come siamo in una stanza buia, vi è ben poca possibilità di distogliere lo sguardo. Tal volta ci si affida ai suoni. In fondo il dove, come sempre, non ha alcuna importanza. Attendere sembra l' unica cosa sensata da fare, quindi è anche la più triste. La ragione ha sempre una connotazione tragica, come una condanna, una spietata sincerità che non lascia spazio al gioco del potrebbe. L' improbabile è una <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_0">meravigliosa</span> piccola bugia che ci riscalda. Ci guardavamo in viso con troppa lealtà, <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_1">mentire</span> sarebbe stata una salvezza ma non ne eravamo in grado, non potevamo fingere. Quindi sapevamo che le cose andavano come dovevano. Che in fondo il dovere è una truffa, come il tempo. L' immobilità dell' aria ci rassicurava, senza sapere <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_2">perché</span>, ma anche il sapere è una truffa, la consapevolezza è la trappola peggiore, meglio la deriva, il vagare irresponsabile verso nulla di definito, verso un posto lontano solo prima di arrivarci, dove solo il giungere ci spiega il viaggio. Era quello di cui avevamo bisogno, che sognavamo ed ancora <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_3">sogniamo</span>. Il giuoco cieco di dare sempre un perché raffredda gli animi, le cose hanno una tale coscienza di loro stesse che non hanno affatto bisogno della nostra, ingannevole come le speranze, come i giudizi, come le parole. Forse dovevamo solo credere, forse sarebbe bastato quello, ma lo sforzo era più grande della nostra volontà, o magari non avevamo una volontà. Era tutto lì, ne eravamo certi, era tutto nella nostra presenza, il senso delle cose stava nel fatto evidente che noi eravamo lì, in quel momento esistevamo. <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_4">Era</span> la nostra forza, la nostra bellezza. Chiedere oltre non ci era concesso, ne volevamo che lo fosse. Era dentro, e ci bastava, il bello sarebbe stato quello. Finalmente sapevamo che vedere e guardare erano cose molto diverse, <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_5">ed eravamo</span> ben disposti a rinunciare ad una delle due, anzi ci <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_6">avevamo</span> <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_7">già</span> rinunciato. Ora il buio era caldo, una mano dolce che ci stringeva. Ci avviammo piano verso quello che oramai non <span class="blsp-spelling-corrected" id="SPELLING_ERROR_8">avevamo</span> più bisogno di raggiungere.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-86900699997327915652009-04-05T04:31:00.004+02:002009-04-05T05:27:24.958+02:00"...sembra quasi che la notte non finisca mai e che io debba gia fare a meno della mia ombra"Era ferma su quella panchina già da un' ora, o forse anche di più. Ma il tempo per lei non aveva alcuna importanza. Osservava ferma tutte le cose intorno, e senza riuscirci, cercava disperatamente di farle nuove. Purtroppo sapeva bene che di nuovo non esisteva niente, ne tanto meno riusciva a pensare che sarebbe dovuto esistere, non aveva ma creduto alla giustizia delle cose, ne al necessario compiersi dei fatti. Tutto ciò che sapeva, di cui era maledettamente sicura, era di essere sola su quella panchina, e la cosa le sembrava tristemente sufficiente. Guardava attenta tutto ciò che accadeva intorno, sorprendendosi a pensare che fosse tutto irreale, illusorio, lontano un milione di chilometri, come quelle vecchie pellicole in bianco e nero con quegli effetti troppo antiquati per avere un minimo di credibilità. Per un attimo chiuse gli occhi inclinando leggermente la testa in dietro, ma non si aspettava niente, aveva solo bisogno di far riposare un po' gli occhi. Sorrideva al pensiero che non sarebbe dovuta nascere lì, ma non riusciva proprio a trovare un posto dove sarebbe dovuta nascere, in fondo non aveva mai avuto nessuno interesse per nessun luogo, nessuna città che le fosse appartenuta, nessun posto che le fosse mancato. Niente di niente. Che cosa buffa però, la vita non faceva affatto per lei, eppure la incuriosiva tanto forse per questo la maggior parte della gente era solo una macchia informe, perché vivevano senza rendersene conto, dando la vita per scontato, mentre solo chi non ci era portato, a vivere, riusciva a vederne la curiosità. La crudeltà del mondo. Intorno a lei c' erano persone, vite anonime che si rincorrevano una dietro l' altra, piccole esistenze che scorrevano, tutte uguali, e lei che le guardava senza mai toccarle, senza che nessuna di loro toccasse lei. L' umanità. Non aveva mai capito bene cose significasse quella parola, cosa fosse poi l' umanità, cosa potesse mai accomunare milioni di piccoli esseri isterici che andavano tutti dalla stessa parte senza saperlo, senza capire, senza mai voltarsi verso gli altri che stavano di fianco. Per la prima volta forse riuscì a sentire chiaramente tutta la freddezza, tutta la desolazione di non appartenere a quella schiera di esserini, di non essere un membro dell' umanità. Non aveva mai visto così chiaramente la sua solitudine, la sua lontananza, la spietata evidenza della sua diversità. Nonostante tutto ne sorrideva, ma non aveva altro. Solo quel sorriso triste le rimaneva, solo quella piccola saggezza del tutto personale, che mai avrebbe potuto raccontare. Era tutto racchiuso in quel sorriso, sola su di quella panchina. Non aveva niente da rimproverare al mondo, ne a se stessa, questo almeno le sembrava un conforto, avere un rancore da indirizzare verso qualcosa o qualcuno spesso è solo un dolore inutile, e lei era da sempre si considerava abbastanza intelligente da saperlo bene. Di un tratto la panchina le sembrò sconfinata, pericolosamente infinita, troppo grande per un corpicino piccolo come il suo. Si ritrovò a guardarsi le mani con un forte imbarazzo, con la voglia matta di andarsene via, il dove non aveva nessun importanza, bastava allontanarsi da quella maledetta infinita panchina, bastava che la sua piccola presenza non fosse così evidente, così chiara da poter essere notata. Bastava andarsene, da qualsiasi parte ma andarsene. Si alzò cercando il più possibile di preservare un' aria indifferenze, sorpresa da quella stupida premura, da uno scrupolo tanto immotivato quanto infantile. Fece qualche passo poi si fermò, respirò piano a pieni polmoni, riprese un po' di calma e riguardò tutto quello che le stava intorno. Aveva sempre cercato di capire chi stese dalla parte del giusto, chi avesse ragione, se lei o il mondo, e solo lì si accorse di quanta ingenuità ci fosse in quella ricerca. Invidiava ogni singola persona che vedeva muoversi intorno, solo ora riusciva a non vergognarsene, e per un istante le parve di aver compreso tutto. Ma oramai non aveva nessuna importanza. Non poteva condannarsi, e non poteva condannare neanche l' umanità, ed era stanca, inesorabilmente affaticata. Aveva voglia di perdonare, e di riposarsi. Cominciò a camminare senza accendere l' ipod, voleva sentire il mondo, almeno per una volta, poi forse sarebbe successo qualcosa. Aveva deciso che almeno per un po' si sarebbe concessa il lusso di potersi sorprendere, e le sembrava una enorme conquista. Le venne in mente il verso di una vecchia poesia e riuscì a sorridere senza tristezza mentre camminava fra la gente.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-61926322036382539392009-03-23T04:46:00.002+01:002009-03-23T04:49:49.289+01:00questa notteSENZA TITOLO<br /><br />Meravigliosamente<br />le cose restano tali,<br />come se il sopraggiungere<br />degli eventi possa finire.<br />Sarei più felice<br />se avessi la capacità<br />di confondermi<br />e di resistere alla<br />mia immaturità.<br />Vorrei potermi<br />voltare e sapere<br />il resto come rimane.<br />Poter osservare le cose<br />lì dove noi non<br />guardiamo affatto.<br />La consapevolezza<br />di essere dove sono<br />non mi dà la gioia<br />che vorrei.<br />Ma d’ altra parte<br />l’ attesa sembra<br />l’ unica via di fuga.<br />Il buio si osserva<br />talvolta con occhi<br />migliori se vi è<br />altro da guardare.<br />E non posso che<br />notare l’ assenza,<br />rivedere la mancanza<br />già sopita di ciò<br />che mi è dietro<br />come se non l’ avessi<br />incontrato mai.<br />Ma riappacifico<br />lo spazio intorno con<br />tutto quello che so.<br />Meravigliosamente.<br /><br />...scritta ora, dieci minuti fa. Immaginare a volte ci rende svegli. Eccola a voi.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-73394684467377822752009-02-26T02:20:00.001+01:002009-03-17T18:05:21.395+01:00per ora mi guardo indietro.........LETTERA ALLA PICCOLA AMICA (titolo)<br />Niente passa o si dimentica,<br />per sempre resta qualcosa.<br />A volte sembra di rivederle,<br />e forse le rivedi davvero.<br />Senza sapere mai perché.<br />Tutto in una grande nostalgia.<br />Chissà se hai mai nostalgia<br />Di ciò che non hai vissuto come me?<br />Fuori piove,<br />che bel rumore che fa.<br />Fa compagnia e sembra voler<br />dire ci sono anch’ io,<br />non sei solo. La solitudine!<br />Forse non si è mai<br />veramente soli, sarebbe bello.<br />Ci sono giorni in cui<br />vorresti sprofondare nel buio.<br />Solo.<br />Altri in cui ti senti solo<br />fra un milione di persone<br />ed è la cosa peggiore.<br />La vita non è mai semplice.<br />È una strana compagna. Dispettosa.<br />Ma forse ci vuole bene.<br />Quelli come noi non sempre<br />riescono ad amarla.<br />Ma forse è giusto così.<br />Chissà se la ricorderemo la vita.<br />È bello scriverti piccola amica,<br />magari un giorno ti scriverò<br />anche una poesia.<br />Il rumore della pioggia ormai<br />è quasi come il silenzio.<br />Vorrei poterlo scrivere,<br />ma come si scrive il silenzio?<br />Il sono mi osserva muto<br />mentre ti scrivo queste righe.<br />Tra un po’ se ne andrà.<br />Spera che lo segua.<br />Magari ci tenterò,<br />ma non ho tante speranze.<br />Quando potrò forse ti<br />verrò a trovare,<br />ma per ora accontentati<br />delle mie parole e cerca<br />di immaginare il suono<br />della mia voce.<br />Ti racconterò tante<br />favole piccola amica.<br />Non temere.<br />Tutte ricche,<br />belle e cullanti, di eroi<br />e pazzi, di folletti e di<br />poesie e di fiori.<br />Fiabe di streghe e magie,<br />di amori persi e fantasie.<br />Ora ti mando un saluto<br />in dono piccola amica,<br />e l’ augurio che il cielo<br />possa seguirti.<br />Salutami chiunque tu<br />voglia e parlagli di me<br />se vorrà ascoltare.<br />Torno con gioia a salutarti,<br />e con rispetto a ringraziarti.<br /><br />...ora guardo dietro di me. Tempo fa pubblicai la SECONDA LETTERA, ecco a voi la prima. Sul silenzio, le parole, le scuse e l' imprese. Tornerò a scrivere più assiduamente i racconti, ma per ora ecco il tutto.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-33880879389757000662009-02-18T03:52:00.002+01:002009-03-17T18:05:21.387+01:00sul viaggio, o ciò che pareSECONDA SENZA NOME (titolo)<br />Vieni qui con me<br />alla casa del Diavolo<br />dove la pioggia non bagna i vetri.<br />Perditi nelle sue stanze dove<br />non si sentono le urla.<br />Vieni alla casa del Diavolo<br />dove il buio è un fuoco che brucia.<br />Il Diavolo ride e noi ne siamo<br />i commensali. Senti.<br />Tutte le stanze sono specchi,<br />scegline una e pensa che sia vera,<br />mentre tutte le lacrime cadranno.<br />Ci siamo noi qui, dove non ci sono<br />finestre e non c’ è Sole,<br />dove ogni porta è un ricordo.<br />Di fantasia ed aria.<br />Dove anche la morte sembra<br />sorridere. Qui.<br />Vieni alla casa del Diavolo.<br />Vieni alla casa del Re.<br /><br />...fra le prime che ho scritto, con i primi avvisi di instabilità. Su ciò che pare. Esiste anche una "PRIMA SENZA NOME", ma è un' altra cosa.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-11642405484245824422009-02-01T05:20:00.005+01:002009-03-17T18:08:30.413+01:00"lascio che le cose passino e mi sfiorino, perché non sono ancora in grado di comprenderle"La discriminante dimostrazione della propria esistenza arriva fredda, come immaginare il senso di tutto quello che sembra motivare la verità. L' in essenziale idea di noi stessi si manifesta nella nullità di una notte svegli. Allora il percepire è l' unica salvezza, come il correre. Ci si potrebbe domandare la ragione per cui la notte non commette violenza sulla nostra pelle, la ragione di tanto silenzio intorno il suo venire. Farsi sfiorare per sentirsi vivi, per convincersi di essere liberi, per riuscire a credere che l' aria bruciata dai polmoni poi sia vera, dignitosa, come la ragione del nostro essere lì in quel momento, come giustificazione della nostra perpetua presenza sul mondo che ci sembra tremendamente innaturale. Guardare fuori può sembrare troppo, immaginativo, uno splendente sogno. Lontano. Fino al punto di fermarsi e dubitare che sia giusto che le cose arrivino, se sia giusto farsi trovare. Gli occhi sembrerebbero proprio i nostri, mentre tutto quello che ci circonda ci lascia inermi, tremendamente assenti. Quindi ha senso comprendere? La simmetria apparente della nostra immagine presuppone una contro partita, una piccola proiezione di noi stessi nelle persone che ci circondano. Ma non ci sembra giusto. Come guardare da fuori qualcosa standoci nel mezzo, voler vedere la facciata di un grattacielo affacciandosi da una delle sue finestre. Allora il globale non ci serve più, non riusciamo più a crederci, ricercando una piccola risata in una qualunque delle bugie che abbiamo detto. Come l' enorme imbarazzo nello scoprire che quelle bugie non erano bugie. Bastava odiare per sentirsi vivi, bastava regalare il peggio di noi, che se uno può sbagliare può anche vivere ed essere reale. Ma poi il tempo ci insegna che essendo l' unica cosa vera l' odio, è anche la più dignitosa delle terminazioni. Le cose passano, prendendosi gioco del nostro terrore, la paura che tutto possa essere per sempre. Le parole in processione per riempire gli spazi vuoti fra la nostra coscienza e le nostre anime rivelano l' ambizione sporca di esistere, di percepire un dovere nella nostra esistenza, una giustizia piena che ci dia ragione di stare in qualche luogo. L' idea di poter dare uno schema che chiuda tutto in una logica, definendo la sua simmetria come la nostra non ci permette di comprenderle, ne ce ne da il diritto. Quindi lascio che le cose passino, che mi sfiorino per riuscire a guardarle da lontano senza sentirmene partecipe, senza che la stupida arroganza di esserne il motivo di coinvolga. Mi siedo e fermo l' aria, stando attento a dove terminano i miei confini. Chiamandomi per nome, non avrò il coraggio di rispondere. Lascio che le cose passino e mi sfiorino, perché non sono ancora in grado di comprenderle.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-74567626682300789202009-01-09T21:11:00.003+01:002009-03-17T18:08:54.265+01:00notate bene.....Allora signori ho dato una sistematina al mio racconto a puntate (un' idea folle). In primis il titolo "Come illudersi di ritornare" che vedrete scritto, in più ogni puntata ha un sotto-titolo, anche quelle vecchie, e le potete trovare tutte sotto l' etichetta "a puntate". Siamo a quota sei, ma finiranno poiché il racconto ha una fine, quindi non saranno infinite, penso di farne una ventina più o meno. Questo è tutto, spero vi piaccia.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-7219275565324884832009-01-09T18:36:00.003+01:002009-03-17T18:07:05.230+01:00un' idea folle-puntata 6 (Come illudersi di ritornare)Ecco a voi.......<br /><br />SECONDO INTERMEZZO. SULLA PIOGGIA<br />D è in piedi, guarda fuori. E' notte ma non dorme, gli sembra normale. Piove, un inaspettato temporale estivo. E' ancora vestito, ed anche questo gli sembra normale. Guarda fuori, la pioggia sulla strada, sulle case. Non vede le cose, non vede niente, solo la pioggia. Il resto non conta, non c' è. Il rumore delle gocce copre tutto, dà senso a tutto. Il cadere, il perdersi della pioggia in quello che ci sta attorno è confortante. Rassicura. Sembra giusto. D resta fermo, non ha bisogno di nulla. Quel cadere pone tutto nella giusta misura. Pensa che tra qualche ora la pioggia smetterà ed il sole invaderà tutte le case. Si convince che non ha senso parlare di motivi, di perché, di ragioni. In quel momento la pioggia è la ragione, è il motivo. Si sente partecipe al posto in cui si trova, al cadere delle gocce, al rumore, al bagnarsi. Esce sul balcone. Si sente meglio. Pensa di stare nell' unico posto in cui deve stare. Lui è lì, e non lo ha scelto. Questo almeno non possono prenderselo. Pensa alla madre, sveglia nell' altra stanza, pensa alla bara, a tutta quella gente in fila. I motivi non hanno senso, non più. Risente le parole della madre, scandite da ogni goccia. Si fa accarezzare dal lieve vento che accompagna il cadere, e comprende. Realizza di aver capito, di aver compreso. Ora accetta, ora sa, ed intanto si lascia cadere la pioggia sul viso. Il viso bagnato lo rende presente, partecipe, legato a tutto il resto. Guarda verso le case, verso le strade, e non sente più il risentimento. Non vede la loro solitudine, vede solo la pioggia che ci balla in mezzo, vede il loro immergersi nelle gocce, nell' acqua. Un posto come un altro. In fondo una notte come altre, questo ora può pensarlo. Attende che il temporale piano cominci a smettere. Resta fermo godendosi le ultime gocce sul viso. Quella pioggia è il suo pianto, lo sfogo di cui aveva bisogno e che la notte ha avuto per lui. Persino la luce che comincia timida a farsi vedere non gli da più troppo fastidio, la comprende, la giustifica, la perdona. Ha perdonato l' estate, il tempo, se stesso. Tutto nella pioggia che come un sorriso un po' triste lo ha coperto. Attende un altro po' prima di rientrare per cambiarsi. Decide che quella camicia non la indosserà mai più e la ripone con cura, senza asciugarla, in un cassetto vuoto.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-35859149161060132792009-01-05T02:21:00.005+01:002009-03-17T18:05:21.396+01:00ancora unaCANTO SULLA GIUSTIZIA E SULLA ESPIAZIONE(titolo)<br />Non vi è odio in me<br />e mi dispiace,<br />non un filo di vento<br />ma è tutto calmo.<br />Solo amaro ed un po’<br />di bruciore agli occhi.<br />Ma non mi da niente!<br />Non mi rimane.<br />Solo polvere fra le<br />mani ed addosso.<br />Dimenticata.<br />Come le parole,<br />perse, vuote, lungo la strada.<br />Persino questo mi<br />hanno portato.<br />Il cuore pieno di paglia<br />senza più spazio.<br />Tu che credevi di colpire.<br />Conserva pure tutto<br />e spendilo per chi verrà.<br />Il tempo fa giri immensi<br />ma non ritorna.<br />Tanto non lo riconoscerei.<br />Nemmeno il sollievo del<br />rancore rimarrà fra noi.<br />Quando crederai di<br />poter tornare avrai<br />il tuo riscatto.<br />Ma non servirà.<br />Mi volterò per cercare<br />altro vento.<br /><br />...le feste sono spesso un periodo di ricordi e di rincontri. Io nel mio ho confermato ciò che sapevo già, che certe cose non si possono riparare e certi amici non si recuperano. Quindi una poesia sulla rinuncia, sul distacco di quando questo distacco è avvenuto. A voi se vi va.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-71349739038715032372009-01-05T02:17:00.002+01:002009-03-17T18:05:21.397+01:00solo un grazie sincero.<a href="http://4.bp.blogspot.com/_GOImZpdFWFE/SWFftxu1zSI/AAAAAAAAABg/4cQlnYnRDpg/s1600-h/premio2___.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5287612677558226210" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 238px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="http://4.bp.blogspot.com/_GOImZpdFWFE/SWFftxu1zSI/AAAAAAAAABg/4cQlnYnRDpg/s320/premio2___.jpg" border="0" /></a><br /><div></div><br />Un post breve solo per ringraziare chi con questo premio mi considera libero, cosa che mi rende felice poiché la libertà è la mia ricerca ed ho spesso la pretesa di pensarmi come un uomo libero. Quindi un grazie a Elsa che ha voluto premiarmi.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-3148142104946817402008-12-22T16:31:00.002+01:002009-03-17T18:05:21.394+01:00ritorno con un' altra........(SENZA TITOLO)<br />Non temere<br />piccola mia,<br />sgocciola ancora<br />sangue dai miei<br />poveri polsi,<br />e presto ne<br />riceverai dell’ altro!<br />Solo il tempo<br />di riempire<br />calici migliori!<br />E voi altri non<br />abbiate timore<br />per i vostri<br />sorrisi anzi<br />nascondete le<br />lacrime inutili<br />che non dicono<br />più niente!<br />Mi dispiace<br />ma non è<br />vostra la terra<br />che mi sporca<br />le dita.<br />Le vostre<br />candele senza<br />colore non<br />illumineranno<br />il buio della mia<br />morte e non<br />sarà la tua voce<br />ad accarezzare<br />il pianto!<br />Solo perdona<br />il fatto di non<br />potermi toccare,<br />e non vedendomi<br />ricorda la<br />mia presenza<br />senza alcuna<br />volontà di dolore.<br /><br />.....scritta un po' di tempo fa, un paio d' anni, ma a cui tengo tanto. Eccola a voi.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-24491345114762741492008-12-16T16:32:00.005+01:002009-03-17T18:09:20.213+01:00un' idea folle-puntata 5 (Come illudersi di ritornare)Si lo so mi sono assentato per un po' senza motivo. Ma ora ritorno con la mia idea folle e vi propongo anche un titolo, giudicate voi anche se ho quasi deciso. Ecco il probabile titolo: "Come illudersi di ritornare". Ed ora beccatevi la puntata.<br /><br />LE COSE CHE SONO DETTE<br />Ormai il sole è tramontato. D pensa che sia una fortuna che la notte esista anche d' estate. Si ferma davanti la porta di casa, esita qualche secondo prima di entrare. Entra. Cammina lento fino alla cucina. Ci trova il padre e la madre, seduti in silenzio senza nemmeno guardarsi, fermi, come oggetti inanimati. Si stupisce di trovarli lì. Poi pensa che in fondo sono solo le otto e mezza di sera, quindi è normale. Si guarda intorno istintivamente, senza rendersene conto. Non ha proprio niente a che spartire con quella casa. Un pensiero che non riesce ad intristirlo. La casa è vuota, senza parenti ne amici. Una fortuna, pensa. Resta fermo lì sulla porta, immobile, lasciando che il tempo scorra. Non sembrano accorgersi di lui, ne lui presta la minima attenzione a loro. Restano solo fermi, ognuno nella sua posizione, come in una di quelle foto neorealistiche in bianco e nero. E' il padre ad alzare lo sguardo verso di lui. Resta a guardarlo dritto i faccia, come si guarda un estraneo. D non ha nessuna reazione. Poi il padre parla:<br />"Perché?" quella domanda risuona secca e pesante come un sasso lanciato contro una finestra. La voce non ha alcuna inflessione, nemmeno la formale cortesia fra estranei. Niente di niente. Poi continua: "...perché hai voluto pagare, perché hai voluto dimostrare la tua presenza?"<br />"Non me ne frega niente di dimostrare niente. Ho pagato perché avevo quei soldi, e perché volevo pagare il funerale di mio fratello."<br />"I Padri dovrebbero pagare, non i fratelli"<br />"Francamente non mi pare il momento per una discussione simile. Non si tratta ne di me ne di te, immagino te ne renda conto. Avevo quei soldi, tutto qui. Finiamola qui."<br />"Il tuo discorso non fa una piega. In fondo sei suo fratello, in fondo hai ragione."<br />Il padre riabbassa lo sguardo. D resta fermo dove è. Non è sicuro che il suo discorso non faccia una piega, e non è sicuro del perché abbia fatto quello che ha fatto. Ma non ha importanza. Le cose sono come sono, e forse neanche quello ha più importanza. Il padre si alza, resta un attimo a guardare D, poi riprende a parlare:<br />"Non ti biasimo per la tua presenza qui. Non ti biasimo di niente. Hai fatto quello che dovevi. Solo non cambia niente, e penso che te ne renda conto pure tu. Forse hai ragione se dici che non è il momento, ma vedi probabilmente non ci sarà mai il momento giusto per parlarne, non ci sarà mai niente d cui parlare. Le cose stanno così e ci rimarranno. Non te ne do la colpa, e non me la prendo nemmeno. Solo non cambieranno. Il resto non ha importanza."<br />Non lo guarda più. Esce dalla cucina verso la stanza da letto, senza mai guardarla. D capisce che probabilmente non si guarderanno più. Lo segue con lo sguardo. Scopre la madre a guardarlo, con la freddezza delle statue. Lei comincia a parlargli:<br />"Lui non ti biasima, e nemmeno io. Oramai non ho alcun interesse in quello che succede. L' ho convinto io a non fare niente sulla questione dei soldi"<br />"Ne sono stupito. Forse dovrei pesare che....."<br />"Non c' è niente da pensare. Io sono solo più pratica. Ci servivano quei soldi, se li avesse cacciati chiunque altro non avrebbe fatto differenza."<br />"Ne prendo nota."<br />"Te ne sei andato. Tutto qui, ed ora mio figlio è morto. Penso non ci sia altro."<br />Lei si alza e fa per andarsene. D parla con il dolore nella voce, rivolgendole lo sguardo in viso:<br />"Scusa mamma se non sono morto io....scusa!"<br />"Non fa differenza, non sono così stupida da darti la colpa. Solo che per me non fa differenza. Resta quanto vuoi, fai quello che vuoi. Per me non fa differenza. E non mi sento in colpa per questo"<br />Se ne va. D sa che sono le ultime parole fra loro, e forse è vero che non fa differenza. Lui se ne è andato, hanno ragione. E' quello che voleva, starsene da solo. Si siede. Guarda la parete di fronte nel silenzio della casa, che non è più la sua. Quando si alza per andare a letto non ha idea di quanto tempo sia passato.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-53413984068036339192008-12-03T03:31:00.004+01:002009-03-17T18:09:47.624+01:00un' idea complicata-terza stagioneUn' idea complicata. Come il comprendere il verificarsi o il non verificarsi dell' essenziale, la naturale incompletezza del ricorso degli eventi. Come se i propri punti vincolari non avessero alcuna facoltà, alcuna attinenza alla resistenza. Ad ogni azione è pretesa la reazione che giustifichi una direzione privilegiata degli eventi, un' economia delle energie che comunque non ci è dato comprendere. Ma minimizzare la dissipazione non ci rende adatti alla evoluzione dei sistemi. Ed allora il tempo tramuta in forme ogni sensazione che possa influenzare quel precario equilibrio prossimo al collasso. Persino il reciproco scambio fra le parole e il susseguirsi degli eventi in un disordine regolato da attente regole di selezione non soddisfa lo sforzo dello spiegare, la ricerca delle forme esatte, il compiersi del legame fra il volere e l' agire, la fine che lega l' inizio. I modelli si perdono e possono solo imitare un vecchia idea che alla luce della nuova linea evolutiva risulta quasi ridicola. Tanto da far assomigliare le certezze alle risate, il dispiegarsi dei ragionamenti ai racconti innocui dei passanti. Allora il senso prevarica il fallimento, l' inadeguatezza delle regole pretese adimensionali assume l' aspetto del disegno ed il suo compiersi, che equivale al non compiersi affatto, poiché il fare è equivalente al non fare, la fine al cominciare, il dire al tacere. Un' idea complicata come il catalogare l' inessenziale, il necessario divisorio fra quello che deve e quello che potrebbe non dovere, senza poter sperare di più, solo un probabile margine di errore, senza la sapienza del proprio fallimento se non alla fine. Una diagnostica tendenza all' esaurirsi, un potrebbe che rappresenta tutta la sapienza di cui siamo capaci, una minima speranza che l' errore sia giusto almeno quanto l' esatto. Ammesso che esistere e non esistere abbiano un reale margine di rivelamento, una soglia da poter rappresentare in qualche ragionamento, seppur contorto. Di fronte ad una così comprensibile deriva di un sistema rappresentativo, è necessario affidarsi alla non conoscenza piuttosto, poiché l' assenza risulta quantomeno evidente, e la giustizia assume la dimensione di una propria tolleranza alla variabilità degli avvenimenti. E si è riportati alla relazione d' ordine fra le variabili e lo spazio circostante che si riduce ancora più all' elementare porzione di reale concepibile come slegato dalla volontà. Un' idea complicata, come il voler ammettere di decidere dove stare, come una posizionale regola di diritto all' esistenza. Un' idea complicata, come ammetere che esista una visione di un qualche insieme.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-42330374015796988612008-12-02T15:53:00.005+01:002009-03-17T18:10:09.020+01:00un' idea complicata-seconda stagioneUn' idea complicata. Come la rassegnazione all' evidente inadiempirsi del proprio modello, elegante ma innocuo, come la minimizzazione dell' azione. Una qualunque delle azioni, tanto sono tutte equivalenti. Ed allora il simmetrizzare assume valore nel suo fallimento, tanto che il tempo si pone come maestro e discepolo, e l' equilibrio sembra una fine, il cambiamento una perdita, l' ordine una sconfitta. La processione di tentativi di riferimenti facilmente derivabbili l' uno dall' altro ci pone lontano dalla verità, fino a convincerci che non ci sia alcuna verità. E le nostre idee sono solo una approssimazione del desiderio, del possibile modello, l' auspicabile configurazione stabile secondo parametri che nonostante abbiano continuità con il loro variare, risultato inefficaci nella descrizione del sistema involutivo. Quindi le forme che i ricordi assumono restano postulate senza poter chiudere il sistema. Il che ci riporterebbe a complicatissimi discorsi attorno al senso delle cose. Eppure si può pensare di linearizzare il sistema di cose, togliendosi dal globale, ponendo i propri parametri ad interagire col locale, in un intorno di noi stessi, in cui ci siamo noi. Un' idea complicata come il riscrivere tutto in forme adimensionali, leggi che siano libere dal dove e dal quanto, circoscritte a spazi chiusi e limitati incentrati intorno a noi, al variare continuo nella nostra struttura derivativa. L' unica continuità resta la dipendenza temporale, che circoscritta al nostro intorno resta quasi lineare. Allora le parole nella loro corrispondenza imbarazzante, ci legano al variare dello spazio, come le forme del tempo, una questione logaritmica alla nostra risposta, come l' entrata all' uscita, come il dopo al prima, come il forse al perché. L' indefferenzialismo inattivo dell' accadere ci rende sconfitti e spesso ipocriti, nell' affannoso tentativo di ben porre i problemi nelle proprie strutture. Un' idea complicata, il linearizzare il perché degli eventi, come il succedersi delle variabili nel rappresentativo astratto di noi stessi. La derivazione temporale delle nostre motivazioni sembra assomigliare alle nostre scelte, e persino il loro senso molare ci illude che le soluzioni siano uniche e ben definite. Un' idea complicata come l' inessenziale, ammesso che l' essenziale esista.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-6580507736864696522008-11-26T20:50:00.004+01:002009-03-17T18:10:45.832+01:00un ' idea complicataUn' idea complicata. Come voler simmetrizzare qualcosa che non ha alcuna simmetra. Cosa che porterebbe ai complicatissimi ragionamenti intorno la non linearità del reale. Ma a quanto pare il tempo si trasforma in forme, e le forme diventano il tempo che passa. O i ricordi che poi in fondo è uguale. Ed ecco che tutto è ciò che era, mentre ciò che sarà non esiste ancora. Il presente è solo l' illusione di sapere. Ma non si sa mai. Perchè poi il tempo non ha simmetrie, ne linearità, una dipendenza continua questa si, ma mi pare una magra consolazione. O almeno mi pareva, come in effetti non ho più alcuna pretesa di apparenza. In fondo il simmetrizzare non è altro che porre la questione in relazione a paremetri che interaggiscono con lo spazio in modo ordinato, anche se poi l' ordine è solo una convenzione. Elegante alternativa alla speculazione morale, l' ordine, ma privo di valore intrinseco. Un discorso intuitivo, e quindi privo di qualche attinenza con la naturale esistenza delle cose. Ma tutto ha il suo indubbio fascino, finquando qualcuno ci troverà un chiodo e ci si arrampicherà. Ed una volta su sarà chiaro che non esiste affatto un su ed un giu. Un' idea complicata non c' è che dire. Come il voler legare l' esistenza, o la non esistenza, ad una qualche modellizzazione del reale, dell' identità. Almeno concettualmente ha la sua moralità, ed in modo formale la sua ammissione di veridicità. Ma modellizzare è uno scherzo crudele, ingenuo forse, ma sicuramente crudele, voler porre il tutto in uno schema preordinato, un rappresentativo astratto che viola il valore stesso del modello in se, lo priva di libero arbitrio, ponendo la fine legata all' inizio, il punto alla traiettoria, lo pazio al suo piegarsi, il tempo al suo tracorrere. Il senso è il muoversi, il divenire, poichè la perfezione è ferma, ed un modello fermo non serve a nessuno. Come la pefezione non serve al trascorrere delle cose. Così come l' uomo con la sua umanità. E ci si può pensare su, all' umanità. Ma l' uomo non è necessario al' umanità, come le parole non sono necessarie alla verità. Come la voglia alla sua necessità. Come è ovvio che sia. Il permaloso susseguirsi delle parole può intrappolarci in convinzioni imbarazzanti, e la natura umana non sempre riesce a mostrare le sue giuste idee. Come sempre. Decisamente un' idea complicata.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-48398790499278398252008-11-20T18:29:00.003+01:002009-03-17T18:05:21.393+01:00...una su di noi.(IL TITOLO VERRA FORSE)<br />Io non sono chi scrive<br />ma è chi scrive che è me!<br />Fino al punto che<br />me ne vergogno.<br />Per questo miei padroni<br />non capisco le mie colpe.<br />E sì che la mia immagine<br />non è tra le vostre.<br />Solo chi scrive, che è me,<br />sa vedere quanto le<br />inutili parole abbiano<br />il colore del fango<br />eppure i vostri nomi gridati<br />tutto in tempo per cadere.<br />Io come chi legge, che non è me,<br />potrei comprare i<br />vostri ricordi pagando<br />con frammenti di nobiltà.<br />E sì che le mie mani<br />non sono strette nei<br />taciti accordi delle<br />persone gia morte.<br />Chi è me, e scrive,<br />tornerà a riscuotere<br />tutte le colpe e le scuse<br />bruciandole con le<br />proprie ceneri nel<br />calore del cielo.<br /><br />..un attimo di lucidità mentre mi intrattenevo con tutti quelli che ho in testa.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-53669658907399865632008-11-17T19:17:00.003+01:002009-03-17T18:05:21.391+01:00gli alberghi sono navi senza movimento.....Una stanza comoda, ma muta. Senza ricordi, senza vita. Ordinata, pulita, con un numeretto sulla porta. In qualche posto, vicino all' uscita di qualche tangenziale. Un posto come tanti, con i doppi vetri dei motel, le coperte anonime e le lenzuola fresche che una cameriera sconosciuta ti porta in camera. Dopo un po' cominci a confonderli, tanto sono tuti uguali, con le stesse luci, gli stessi bar, le stesse finestre. In fondo l' entusiasmo è la prima cosa che ti abbandona, il nuovo non esiste. Dura giusto il tempo della sorpresa, quei cinque secondi che le servono a diventare abitudine, poi tutto resta uguale. Si ha più dimestichezza con la fine che con l' inizio. Ed anche quella era una fine. Attendere è sempre come finire. Si alzò andando verso il frigobar. L' unica cosa che distingue gli alberghi costosi dai motel: la roba che ti danno da bere. Ma dopo un po' non fai più caso nemmeno a quello. Una cosa vale l' altra, l' importante è bere, mettersi in corpo qualcosa che ti dia la sensazione di essere da qualche parte, più forte meglio è. In questo forse sono preferibili i motel, per la roba scadente che ti brucia mentre la butti giù. Con il tempo li conosci tutti e li cataloghi per quello che hanno nel frigobar, anche se poi è più il caso a scegliere. Si fermò dinanzi la finestra coi doppi vetri, che rendeva tutte le luci di fuori finte, anche più delle luci che erano dentro. Oramai non riusciva più a credere che fossero vere, non riusciva a credere che per strada le cose accadessero sul serio, una stanza era tutto quello a cui poteva credere, lì poteva accadere qualcosa, anche se poi non accadeva mai niente. Ma la possibilità era gà molto. Era stanco del viaggio che non portava da nessuna parte se non lì, ad spettare che un telefono non suo squillasse per lui, in una stanza qualsiasi, su di una strada qualsiasi. Ora basta. Fuori non avrebbe avuto niente, ma non gli importava, cosa c' era otre il niente? Le case? Le strade? Bevve furioso quello che aveva. Non voleva più sentire di essersi arreso, in quelle lunghe stanze tutte uguali, senza memoria di lui, ne del prima ne del dopo. Voleva un posto da ricordare, un posto che lo ricordasse, dove poteva sentirsi vero standoci, dove le cose fuori dalla finestra sembrassero vere, reali, lì che lo aspettavano, da qualche parte in cui tornare. Tornò a sedersi sul letto e guardo il suo orologio. Attese. Poi il telefono prese a squillare. Al terzo squillo alzò la cornetta. Era Il tempo. Ora poteva scegliere. Sapeva quale sarebbe stata la voce dall' altra parte, calda e lontana, di donna.<br />"Sei arrivato allora?"<br />"Si, sono qui" rispose lui.<br /><br /><br />il titolo è gentilmente offerto da un verso di Paolo Benvegnùjohnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-3925340852328199394.post-79004506818381472762008-11-13T03:32:00.001+01:002009-03-17T18:05:21.389+01:00........(SENZA TITOLO)<br />Leggimi<br />come si ascolta<br />una bella canzone.<br />Come la danza<br />che la pioggia<br />fa nel vento.<br />Sorprenditi<br />di trovarmi nuovo<br />ad ogni parola,<br />presente per<br />metà e per<br />metà che ascolta.<br />Leggimi<br />come le anime<br />leggono nell'aria,<br />come la fine di<br />una favola.<br />Leggimi come vuoi,<br />come l'ultimo o<br />come il primo;<br />e mentre leggi<br />scrivimi.<br /><br />Su tutto ciò che sono e che potrei essere.johnnyhttp://www.blogger.com/profile/02011491482958476415noreply@blogger.com12