giovedì, febbraio 26, 2009

per ora mi guardo indietro.........

LETTERA ALLA PICCOLA AMICA (titolo)
Niente passa o si dimentica,
per sempre resta qualcosa.
A volte sembra di rivederle,
e forse le rivedi davvero.
Senza sapere mai perché.
Tutto in una grande nostalgia.
Chissà se hai mai nostalgia
Di ciò che non hai vissuto come me?
Fuori piove,
che bel rumore che fa.
Fa compagnia e sembra voler
dire ci sono anch’ io,
non sei solo. La solitudine!
Forse non si è mai
veramente soli, sarebbe bello.
Ci sono giorni in cui
vorresti sprofondare nel buio.
Solo.
Altri in cui ti senti solo
fra un milione di persone
ed è la cosa peggiore.
La vita non è mai semplice.
È una strana compagna. Dispettosa.
Ma forse ci vuole bene.
Quelli come noi non sempre
riescono ad amarla.
Ma forse è giusto così.
Chissà se la ricorderemo la vita.
È bello scriverti piccola amica,
magari un giorno ti scriverò
anche una poesia.
Il rumore della pioggia ormai
è quasi come il silenzio.
Vorrei poterlo scrivere,
ma come si scrive il silenzio?
Il sono mi osserva muto
mentre ti scrivo queste righe.
Tra un po’ se ne andrà.
Spera che lo segua.
Magari ci tenterò,
ma non ho tante speranze.
Quando potrò forse ti
verrò a trovare,
ma per ora accontentati
delle mie parole e cerca
di immaginare il suono
della mia voce.
Ti racconterò tante
favole piccola amica.
Non temere.
Tutte ricche,
belle e cullanti, di eroi
e pazzi, di folletti e di
poesie e di fiori.
Fiabe di streghe e magie,
di amori persi e fantasie.
Ora ti mando un saluto
in dono piccola amica,
e l’ augurio che il cielo
possa seguirti.
Salutami chiunque tu
voglia e parlagli di me
se vorrà ascoltare.
Torno con gioia a salutarti,
e con rispetto a ringraziarti.

...ora guardo dietro di me. Tempo fa pubblicai la SECONDA LETTERA, ecco a voi la prima. Sul silenzio, le parole, le scuse e l' imprese. Tornerò a scrivere più assiduamente i racconti, ma per ora ecco il tutto.

mercoledì, febbraio 18, 2009

sul viaggio, o ciò che pare

SECONDA SENZA NOME (titolo)
Vieni qui con me
alla casa del Diavolo
dove la pioggia non bagna i vetri.
Perditi nelle sue stanze dove
non si sentono le urla.
Vieni alla casa del Diavolo
dove il buio è un fuoco che brucia.
Il Diavolo ride e noi ne siamo
i commensali. Senti.
Tutte le stanze sono specchi,
scegline una e pensa che sia vera,
mentre tutte le lacrime cadranno.
Ci siamo noi qui, dove non ci sono
finestre e non c’ è Sole,
dove ogni porta è un ricordo.
Di fantasia ed aria.
Dove anche la morte sembra
sorridere. Qui.
Vieni alla casa del Diavolo.
Vieni alla casa del Re.

...fra le prime che ho scritto, con i primi avvisi di instabilità. Su ciò che pare. Esiste anche una "PRIMA SENZA NOME", ma è un' altra cosa.

domenica, febbraio 01, 2009

"lascio che le cose passino e mi sfiorino, perché non sono ancora in grado di comprenderle"

La discriminante dimostrazione della propria esistenza arriva fredda, come immaginare il senso di tutto quello che sembra motivare la verità. L' in essenziale idea di noi stessi si manifesta nella nullità di una notte svegli. Allora il percepire è l' unica salvezza, come il correre. Ci si potrebbe domandare la ragione per cui la notte non commette violenza sulla nostra pelle, la ragione di tanto silenzio intorno il suo venire. Farsi sfiorare per sentirsi vivi, per convincersi di essere liberi, per riuscire a credere che l' aria bruciata dai polmoni poi sia vera, dignitosa, come la ragione del nostro essere lì in quel momento, come giustificazione della nostra perpetua presenza sul mondo che ci sembra tremendamente innaturale. Guardare fuori può sembrare troppo, immaginativo, uno splendente sogno. Lontano. Fino al punto di fermarsi e dubitare che sia giusto che le cose arrivino, se sia giusto farsi trovare. Gli occhi sembrerebbero proprio i nostri, mentre tutto quello che ci circonda ci lascia inermi, tremendamente assenti. Quindi ha senso comprendere? La simmetria apparente della nostra immagine presuppone una contro partita, una piccola proiezione di noi stessi nelle persone che ci circondano. Ma non ci sembra giusto. Come guardare da fuori qualcosa standoci nel mezzo, voler vedere la facciata di un grattacielo affacciandosi da una delle sue finestre. Allora il globale non ci serve più, non riusciamo più a crederci, ricercando una piccola risata in una qualunque delle bugie che abbiamo detto. Come l' enorme imbarazzo nello scoprire che quelle bugie non erano bugie. Bastava odiare per sentirsi vivi, bastava regalare il peggio di noi, che se uno può sbagliare può anche vivere ed essere reale. Ma poi il tempo ci insegna che essendo l' unica cosa vera l' odio, è anche la più dignitosa delle terminazioni. Le cose passano, prendendosi gioco del nostro terrore, la paura che tutto possa essere per sempre. Le parole in processione per riempire gli spazi vuoti fra la nostra coscienza e le nostre anime rivelano l' ambizione sporca di esistere, di percepire un dovere nella nostra esistenza, una giustizia piena che ci dia ragione di stare in qualche luogo. L' idea di poter dare uno schema che chiuda tutto in una logica, definendo la sua simmetria come la nostra non ci permette di comprenderle, ne ce ne da il diritto. Quindi lascio che le cose passino, che mi sfiorino per riuscire a guardarle da lontano senza sentirmene partecipe, senza che la stupida arroganza di esserne il motivo di coinvolga. Mi siedo e fermo l' aria, stando attento a dove terminano i miei confini. Chiamandomi per nome, non avrò il coraggio di rispondere. Lascio che le cose passino e mi sfiorino, perché non sono ancora in grado di comprenderle.